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I
l libro della pesca in mare
PREMESSA
Il mare, luogo di sogni e di desideri; e c’è chi non l’ ha ancora visto e mai lo vedrà per l’intera esistenza.
Il mare, quello trasparente che evoca vacanze esotiche con bianche sabbie e palme sulla riva; quello che ci fanno vedere, sullo schermo televisivo, assassinato dal petrolio, quello liscio come olio delle assolate giornate d’estate, quello in burrasca che provoca sfracelli e devastazioni, quello che ottusamente cerca di farsi strada tra le rocce, ma i nostri tempi non sono i suoi, perché ci riuscirà. Quello che regala vita alla pietra che da esso è lambito.
Strada per grandi esodi, che si apre per lasciar passare il popolo eletto, che si chiude come una morsa su terre e città in occasioni di grandi maremoti o che, ballerino, copre e scopre periodicamente parte di piccole città costiere come, in Italia, Pozzuoli; che in preda al potente influsso della luna, in alcune zone del globo si ritira e poi riconquista centinaia di metri, forse talvolta chilometri, di terra più volte in un solo giorno.Evocato nelle canzoni, nelle poesie, racchiuso nei sogni dei nostri primi amori, quasi bastasse da solo a scatenare in ognuno di noi la voglia di vivere. Comunque acqua, che copre la maggioranza del pianeta che ci ospita, acqua che compone in gran parte il nostro stesso corpo di mammiferi ma che forse nell’acqua, dall’acqua, ha trovato vita ed evoluzione.
Mare vivo dai primi centimetri in cui si manifesta; basta scavare nella sabbia proprio sotto i nostri piedi carezzati dalla lieve risacca dell’estate per trovarci piccoli esseri viventi, siano esseri conchiglie, granchietti, anellidi o ancora guardare con attenzione lo scoglio lambito dalle salse acque e vedere tanta vita animale e vegetale aggrappata a quello scoglio che attende di essere ancora una volta coperta dall’elemento liquido da cui trae vita; saranno patelle, ancora granchietti o piccoli gamberi o banali pulci di mare ma talvolta pescetti infilati in un buco dello scoglio in attesa che l’acqua ancora li ricopra.
Mare e pesci un binomio inscindibile che ha attratto l’uomo fin dalla sua comparsa rappresentando per quello scimmione, che è stato nostro avo, fonte di nutrimento, di difesa, strada su cui sfamare la propria curiosità o spirito di ricerca.
Mare solcato da canoe ancora scavate nel tronco, da lussuosi alberghi galleggianti, da piccoli gommoni, da immense petroliere, dalle vele commerciali o di diletto, solcato dalle pinne dei suoi abitatori, ridotto talvolta in discarica. E noi pescatori abbiamo il nostro mare che talvolta vorremmo mosso, altre calmo, a cui ci rechiamo prima che il sole spunti o poco prima che il sole si tuffi nell’orizzonte e che invochiamo nei racconti, nei sogni, nei programmi prossimi futuri. Che vorremmo scoprire tutto per trovare quello dei miracoli, quello che ad ogni calata della nostra lenza ci regali pesci da sogno. Ed ognuno a suo modo si organizza, sceglie la tecnica a lui più congeniale, talvolta la più difficile, la meno appagante in termini di cattura ma la più gratificante in termini di sfida. E la sfida può essere la ricerca della grossa spigola con bolognese e terminale dello 0.10, può essere la caccia del record per un tonnodi centinaia di chili con una lenza che al massimo ne regge 25 o ancora la sfida con le onde che solcano i primi cento metri delle acque litoranee cercando tra quelle onde, in quel caos di correnti la preda, ma prima di essa, la possibilità, la soddisfazione di aver trovato il sistema l’equilibrio per stare in pesca. O ancora la sfida della provocazione tentando di istigare l’istinto di caccia del predatore, sia esso spigola, luccio di mare, serra, lasciando sfilare tra i flussi di corrente dei legnetti dalla forma di un piccolo pesce o una semplice piumetta o semplicemente un pezzetto di metallo luccicante.
Tutto ciò è la pesca, ben lontana dall’immagine presente nella mente di molti, di un qualcosa di ottusamente statico, perché anche quando vedremo il vecchietto appollaiato sulla propria cassetta reggere a fatica una lunga e pesante canna, magari ancora in fenolico, dovremo sapere che la sua mente sta lavorando, sta elaborando, sta cercando di capire cosa cambiare affinché quella stancante immobilità dia i suoi frutti.
Proverò ad offrirvi strumenti che possano valere oggi come domani.
Per questo motivo non vi parlerò di canne, di marche, perché domani saranno già superate. Cercherò di fissare concetti che non possono mutare anche tra 20 anni. Forse dovremo tutti imparare a pescare diversamente perché le solite mormore potrebbero perdere il predominio territoriale delle spiagge, perché sempre più pesci serra, lampughe, balestra ed altri pesci che normalmente colonizzavano acque più calde, compaiono sul nostro scenario di pesca. Resteranno immutati i fenomeni connessi alle mareggiate, agli abbassamenti di pressione, resterà immutata la filosofia di pescare il più sottile possibile per meglio celare la nostra insidia. Cambieranno i materiali e chissà che lo stesso carbonio, che riteniamo materiale che ha rivoluzionato la pesca, non diventi a sua volta obsoleto. Cresceranno le informazioni comunicabili da un capo all’altro del mondo attraverso una e – mail. Forse, spero, resterà il fascino delle parole, delle immagini stampate su di un libro, su di una rivista, non per mero conservatorismo ma perché nulla credo potrà sostituire la pace di stenderci su di un letto ed aprire il nostro libro del momento, romanzo ed altro che sia e da questo lasciarsi cullare fino al sonno.
Capitolo 1- MORFOLOGIA COSTIERA
La costa rappresenta la fascia di contatto fra le terre emerse e il mare.
Il suo limite superiore è dato dalla linea di alta marea, quello inferiore dal limite della bassa marea.Per spiaggia si intende la zona del litorale costituita da materiale sciolto che può subire movimento per azione del moto ondoso.
Per convenzione, la si considera estesa, verso terra, fino al limite raggiunto dalle onde di tempesta; verso il mare fino alla profondità corrispondente alla metà della lunghezza d’onda media durante le mareggiate ( profondità alla quale si ritiene che il movimento della sabbia sul fondo sia ormai modestissimo).
Si dice spiaggia intertidale la parte compresa tra il livello medio delle alte maree e il livello medio delle basse maree.
Si dicono Berme i gradini modellati, in parte per erosione in parte per accumulo, verso terra rispetto alla battigia .
Si dice Battigia il tratto inclinato della spiaggia su cui avviene il movimento alternato del flutto montante e della risacca.
Verso il basso la battigia può terminare con un gradino, situato là dove finisce il trasporto di sabbia della risacca.
Barre o Scanni o Secche sono rilievi allungati più o meno paralleli alla riva , che si formano nella spiaggia sommersa (o temporaneamente sommersa) per effetto in parte delle onde , in parte di correnti locali.
Dietro la spiaggia , all’asciutto sono frequenti le Dune costruite dal vento mediante l’accumulo di detriti.
I limiti superiore e inferiore della battigia si spostano a seconda dell’altezza delle onde e secondo le condizioni del momento del livello del mare in relazione con la marea.
La berma più alta indica il limite raggiunto dai flutti montanti nell’ultima situazione di mare grosso che abbia lasciato traccia sulla spiaggia .
La costa rocciosa può essere di vario tipo ovvero alta e bassa; classico esempio di scogliera alta sono quelle famose di Dover ma la stessa tipologia la ritroveremo in molti altri posti come a Bonifacio in Corsica o le scogliere della costa occidentale di S. Antioco in Sardegna. La stessa scogliera alta, generalmente presenta fenditure più o meno ampie che consentono l’avvicinamento alle acque che comunemente fin dai primissimi metri presentano profondità accentuate.
La scogliera bassa può essere di tipo naturale con rocce più o meno levigate nel tempo dalla forza dell’acqua, oppure di tipo artificiale come le tante scogliere poste a protezione di arenili o che proteggono le murate di porti o che spesso formano piccoli riparo per natanti. Le scogliere alte e basse possono poggiare a loro volta su diversi tipi di fondale, questi per lo più per qualche metro presentano ancora roccia per poi rarefarsi e presentare substrati a posidonia mista a fango, a tutto fango; molto spesso esse poggiano direttamente su fondali sabbiosi come ad esempio le scogliere di Polignano in Puglia che pur presentando spesso pareti del tutto verticali poggiano direttamente su fondali sabbiosi.
Per convenzione reputeremo nel corso della descrizione delle varie tecniche di pesca, le banchine portuali assimilabili alla scogliera bassa.
Andando verso il largo la profondità delle acque inizia ad aumentare fino a raggiungere profondità che nel Mediterraneo superano i 4000 metri. Anche negli abissi esiste vita con pesci in cui l’apparato visivo è del tutto assente o insignificante mentre sono molto più sviluppati altri sensi come ad esempio quello dell’olfatto.
La secca rappresenta il polo di attrazione e di concentrazione per molte specie ittiche ed essa altra non è che la sommità di rilievi sottomarini che magari partendo da profondità di 700- 800 metri hanno una “vetta” a 150 – 300 metri dalla superficie; ma anche per fondali meno accentuati, ad esempio di 70 – 80 metri, un rilievo del fondo che arriva a 20 – 25 metri dalla superficie rappresenta il cappello di una secca. Andando ancora verso terra, se ad esempio abbiamo un fondale di 15 – 20 metri ed un sollevamento fino a 2 – 3 metri dalla superficie parleremo di scogli semi affioranti, spesso segnalati poiché rappresentano un pericolo per la navigazione ma queste formazioni specie se presenti su fondali piatti ed a solo fango o solo sabbia, possono rappresentare un polo attrattivo per molte specie e sono assimilabili nelle funzioni di pesca a quella dei relitti sommersi che hanno più o meno la stessa funzione delle secche in quanto dopo un po’ di tempo, relitti di navi, di aerei, diventano tane o rifugio per pesci stanziali o solo di passaggio o da preda.
CAPITOLO 2-METEOROLOGIA MARINA
Andare per mare, sia da terra che con un natante, deve necessariamente presupporre un minimo di conoscenza dei fenomeni meteorologici legati ai movimenti dei venti e delle acqua.
Se andare al largo con un natante presume da parte del navigante la conoscenza dei bollettini, la loro elaborazione, l’individuazione precoce della situazione di rischio, per chi si reca a pescare da terra i pericolo sono sicuramente minori ma non mancano. Anche alcune situazioni apparentemente tranquille, come lo stare in spiaggia, possono nascondere pericoli; un temporale che si sviluppa all’orizzonte può in poco tempo raggiungerci e già le cariche elettrostatiche potranno fortemente infastidirci nell’impugnare le canne, di qualsiasi materiale esse siano, poi se iniziano a cadere fulmini tra cielo e terra allora è il caso, prima che questi ci raggiungano, di metterci al sicuro fino a rinunciare alla battuta di pesca.
Altre situazioni apparentemente innocue possono generare pericolo; ci trovavamo sulla spiaggia della Marmorata in Gallura, spiaggia che si raggiunge attraverso una discesa abbaul ripida. Sorpresi da un nubifragio improvviso ci trovammo nella situazione, risolta poi favorevolmente, di trovarci con mare montante che invadeva la spiaggia e le acque pluviali che dalla scoscesa discesa invadevano dalle nostre spalle l’arenile; eravamo con le gambe in acqua, con gli stivali solo d’impaccio senza capire se i piedi erano in ammollo in mare o nell’acqua pluviale.
Dunque un minimo di nozioni dovremo conoscerle e saper distinguere almeno tra un’area di alta pressione da una di bassa, sapere che l’alta pressione porta spesso tempo bello e stabile e saper anche che, specie nelle stagioni autunnali ed invernali, il riempimento barico che avviene nel passaggio da una situazione di bassa ad una di alta pressione, genera dei venti, spesso anche molto sostenuti.
E non tutte le alte pressioni sono foriere di bel tempo, ad esempio le alte pressioni siberiane tipiche dell’inverno, spesso provocano un blocco barico, ovvero un blocco delle masse d’aria con scarsa ventilazione che genera spessissimo fitta nebbia anche in riva al mare; in questo caso la nebbia rappresenta un pericolo sia per la navigazione sia che per gli spostamenti via terra.
Dovremo imparare a conoscere la differenza tra una circolazione ciclonica, che porta cattivo tempo ed una anticiclonica che porta bel tempo. A secondo del posto in cui ci troviamo dovremo imparare a leggere i bollettini ed imparare i moti di rotazione del vento in entrambi i casi. Giusto ad esempio, se ci troviamo in autunno sulla costa del basso Tirreno, l’arrivo di una perturbazione atlantica provocherà inizialmente un richiamo o meglio un risucchio di masse d’ aria calda ed umida dalle coste africane ed avremo inizialmente scirocco che poi girerà a libeccio, spesso devastante per quella costa, per poi girare verso la coda della perturbazione a ponente e poi a maestrale che chiuderà la fase perturbata; ma se nella stessa situazione ci troveremo ad esempio in Adriatico la rotazioni dei venti non sarà affatto analoga ed avremo spesso venti tra il levante ed il grecale con chiusura in tramontana.
Comunque cercando di fornirvi gli strumenti più validi di interpretazione vi segnalo i vari siti meteo anche se quelli istituzionali sono i più affidabili.
FORZA DEL MARE E FORZA DEL VENTO
Stato del mare e forza del vento sono due variabili della preparazione della battuta su cui però spesso si tende a fare confusione.
L'intensità del vento è un parametro oggettivabile in quanto misurabile (generalmente in nodi) mentre la cosiddetta FORZA DEL MARE è comunque commisurata al punto dove viene effettuata la rilevazione; se supponiamo un vento che soffia da Ovest sulla costa tirrenica avremo mare mosso sia al largo che sotto costa mentre in Adriatico lo stesso vento, almeno sulle coste italiane, genererà moto ondoso al largo mentre sottoriva potrebbe esserci assenza di moto ondoso; comunque senza volervi annoiare si sappia che la misurazione dell'intensità del vento avviene attraverso la scala di Beafort.
In sintesi vediamo in pratica come orientarci:
FORZA DEL MARE Forza 1 – 2 piccole increspature solo in corrispondenza di rilievi del fondo
Forza 3 piccole onde con presenza di poca risacca
Forza 4 iniziano a formarsi onde tendenti a rovesciarsi in corrispondenza di bassofondo
Forza 5 – 6 Onde formate; presenza di correnti sostenute ; nella fase iniziale della mareggiata prevalenza della primaria con piombi spesso scalzati; la situazione diventa ottimale quando la corrente secondaria riesce ad equilibrare la primaria
Forza 7 Siamo ai limiti della pescabilità; le onde sono in rapida successione; se contiamo più di 18 onde al minuto sarà opportuno cercare una spiaggia un po’ più riparata.
Se questa scala trova maggiori riferimenti per la pesca dalla costa è parimenti utilizzabile anche per la pesca dalla barca. Se infatti a terra avremo la formazione di onde quando l’altezza della cresta sarà di poco superiore al fondale sottostante, al largo avremo ugualmente situazione di mare mosso e se c’è vento teso anche di onde superficiali.
Capitolo 3- GLI ACCESSORI DI BASE
Per tutte le tecniche di pesca in mare alcuni accessori sono comuni anche diversificandosi nelle dimensioni e nelle forme.
LE LENZE
Il primo accessorio comune a qualsiasi tecnica è la lenza.
Essa può essere in monofilo, in multifibra, in dacron oppure metallica.
La lenza più usata è il monofilo in nylon utilizzato sia per imbobinare mulinelli che per la costruzione di travi e finali.
Un monofilo da mulinello deve possedere la caratteristica di grande morbidezza, in gergo tecnico assenza di memoria, in modo che la sua uscita non sia connotata da fastidiose piegature da parrucche che compromettono una buona distesa del filo.
I monofili da finale devono essere connotati invece da una buona rigidità ed una discreta elasticità, non troppo elevata ma un poco serve. Ormai siamo però alla sostituzione dei classici monofili in nylon con gli ottimi fluorocarbonati che assicurano una invisibilità maggiore con il vantaggio di poter utilizzare lenze un po’ più grosse e quando serve una maggiore resistenza all’attacco dei granchi. (dia 4) I diametri dei monofili si esprimono in centesimi di millimetri ed i due estremi li troviamo tra lo 0,06 utilizzato in casi estremi nella pesca con bolognese a diametri del 1,20 per i terminali da tonno.
Altra caratteristica delle lenza è il carico di rottura espresso in chilogrammi ma anche in libbre specie per le lenze da traina.
Alcuni monofili riportano sulle etichette i carichi di rottura lineari e quelli al nodo.
I monofili da qualche tempo tendono a riportare tra le caratteristiche i diametri reali ma c’è ancora qualche azienda che spera di suscitare meraviglia riportando diametri inferiori ai reali e carichi da record per cui magari leggeremo che un filo da 0.20 ha un carico di rottura di 5,8 chili, alla misurazione al micrometro quel 20 si rivelerà magari un 23 e quei quasi 6 chili saranno tutti da testare.
Per i multifibra siamo nel campo di lenze spesso risultanti dall’intreccio di decine o centinaia di microscopiche filamenti; alcuni hanno sezione più o meno circolari, altri più appiattite; qui la questione dei diametri è abbaul opinabile in quanto, non trattandosi di corpi rigidi anche la più attenta misurazione con uno strumento tradizionale porta ad uno schiacciamento. Alcuni di questi prodotti presentano una corteccia trattata e risultano un po’ più rigidi e maggiormente scorrevoli all’interno dei passanti di una canna.
L’uso più adeguato è individuato nel caricamento dei mulinelli da bolentino medio e profondo, inoltre nel surf casting vengono utilizzati spezzoni di 8 – 10 metri per confezionare i parastrappi ed, in alcune particolari situazioni, anche per confezionare terminali (solo i tipi più rigidi ed in situazioni estreme). Per le lenze metalliche giusto un accenno al monel utilizzato sui mulinelli rotanti da traina (ne parleremo più approfonditamente trattando tale tecnica), ai cavetti ricoperti e termosaldanti utilizzati per confezionare terminali a tenuta di morso sia per pesci tipo barracuda, serra, gronghi, quindi anche nella pesca da terra.
Stesso rimando alla tecnica dedicata per le lenze in dacron utili sempre all’imbobinamento di mulinelli.
GLI AMI
Se per le lenze si è passati dai bachi da seta essiccati e stirati, ai crine di cavallo fino al nylon, per gli ami possiamo ricordare una più lunga storia che passa da quelli confezionati in selce, poi in osso nella preistoria fino al arrivare, sempre con le stesse funzioni agli ami che attualmente utilizziamo.
L’amo si compone essenzialmente di una punta, di una curva, di un gambo e di una paletta o di un occhiello ma in alcuni casi troveremo, per la trattenuta della lenza a cui è legato, solo delle leggere zigrinature sulla parte finale del gambo.
Le punte portano nella maggior parte dei casi un ardiglione che serve a trattenere il pesce, ma ci sono anche ami senza ardiglione. Le punte possono essere rientranti, a becco d’aquila, diritte e leggermente estroflesse verso l’esterno.
Particolari alcuni ami di origine haitiana che portano l’ardiglione invece che all’interno della punte posizionato esattamente all’esterno.
La curvatura di un amo può essere più o meno stretta e più o meno rotondeggiante::::
Il gambo si distingue per la lunghezza e li classifichiamo in a gambo lungo, medio e corto.
Per l’innesco di esche lineari tipo i vermi, si prediligono quelli lunghi e medi; per esche meno allungate o per l’innesco del vivo si prediligono ami a gambo corto.
Le misure degli ami sono inversamente proporzionali alla grandezza per cui un amo del 22 sarà piccolissimo mentre un amo del n. 1 sarà grosso.
Dopo il numero 1 prosegue la numerazione preceduta da uno 0 per cui avremo ami 0/1, 0/3 e così di seguito fino ad ami misura 0/10 ed oltre dedicati alla cattura diversi mostri marini come ad esempio grandi squali. Ma non createvi preconcetti perché ad esempio un amo del 5/0, che è bello grosso, è utilizzato tranquillamente nel rock fishing per pesci medi come dentici o lecce e sullo stesso 5/0 può tranquillamente abboccare, se adeguatamente innescato, anche una spigola di soli 2 chili e forse meno.
I SISTEMI DI ATTACCO
Non parliamo chiaramente di schemi calcistici bensì di una serie di accessori utili alle giunzioni.
Elemento fondamentale è la girella; questa si compone di un barilotto centrale in cui sono inseriti due occhielli che hanno la capacità di ruotare su se stessi e di scaricare le torsioni.
La girella più elementare è in ottone mentre quelle di maggior pregio sono in acciaio fino ad arrivare alla girella Sampo e tutte quelle che ne ricalcano le caratteristiche che nel barilotto centrale hanno un sistema a cuscinetti a sfera.
Le misure delle girelle variano da misure piccolissime tipo le n. 22 fino a salire di numerazione e di dimensione. La grandezza della girella deve sempre essere proporzionale alla trazione a cui è sottoposta affinché possa svolgere il ruolo a cui è deputata. Ad esempio nel surf casting una girella a cui è attaccato un terminale dello 0.25 quindi tarato su di uno sforzo di circa 7 chili ovvero 15 libbre, dovrà essere di dimensioni contenute e già una numero 12, di quelle in acciaio, è ampiamente sufficiente allo scopo.
Alla girella può essere abbinato un moschettone che altro non è che un congegno con apertura a pressione in cui viene inserito un piombo, un terminale o quant’altro deve essere sostenuto. E’ consigliabile che il materiale di costruzione del moschettone sia lo stesso della girella.
Altri sistemi di aggancio sono i moschettoni Mc Mahon di origine anglosassone e una serie di aggeggi di produzione semiartigianale come i Fast C, i Multi Link, gli Spin Link, Gli Oval Split ed altri.
Il guadino, volgarmente coppo, serve per l’appunto a guadinare il pesce. Esso consta di un coppo a struttura metallica o in bambù cui è agganciata una rete – la tendenza sta portando all’uso di reti in nylon -, poi con un sistema di fissaggio a vite, a pressione o altro esso è collegato ad un manico che sarà corto e rigidissimo per la pesca dalla barca, fino a guadini anche di 8 metri telescopici per la pesca con canna bolognese. I guadini più pregiati hanno il manico in carbonio che unisce alla leggerezza del materiale una buona rigidità: lo svantaggio è il prezzo decisamente elevato pari a quello di canne in carbonio di qualità non eccelsa. In alcuni casi, da spiaggia e da barca, viene utilizzato il raffio che altro non è che un manico più o meno lungo, corto per il surf casting, recante alla fine un grosso uncino con cui agganciare il pesce.
Un’ ultima annotazione riguarda l’abbigliamento. In estate basta poco per essere perfettamente attrezzati ; una leggera felpa, un giubbetto antivento, pantaloni magari antiumido, leggeri stivali o scarpette e siamo a posto.
Il problema si presenta in inverno quando spesso dobbiamo combattere con vento e pioggia oltre che con il freddo,. I capi migliori sono quelli in Goretex o materiali simili tipo l’Entrant, ai piedi dopo sci o stivali seri e calze anticondensa magari in pile. La spesa per l’abbigliamento invernale non deve essere improntata al risparmio in quanto solo capi tecnici di altissima qualità garantiranno il nostro benessere ed una durata che giustificherà ampiamente la spesa.
Attenzione ai completi antipioggia di scarsa qualità, questi se pure ci riparano dagli scrosci d’acqua sono in grado di produrre una condensa interna forse più dannosa della stessa pioggia.
L’abbigliamento intermedio è bene che sia in Pile, materiale sintetico che garantisce a sua volta un’ottima tenuta all’umido e che mantiene una temperatura corporea quasi costante.
Insomma in inverno prima che farci brillare gli occhi per la nuova canna o il nuovo mulinello, guardiamoci bene intorno per spese mirate che non rendano la pesca fonte di malanni.
Capitolo 5- I MULINELLI Se per gli ami esiste un’ evoluzione documentata circa l’evoluzione degli stessi, nel campo delle canne c’è stata una trasformazione molto più lenta con un lunghissimo periodo in cui la canna palustre opportunamente lavorata ed il più pregiato bambou l’ hanno fatta da padroni.
Una lavorazione più pregiata prevedeva l’assemblaggio di lamelle di bambù di forma esagonali.
In alcuni posti dove l’evoluzione è stata più lenta, vedi Portogallo, è possibile trovare ancora canne per varie specialità in tronchino esagonale.
Veniamo al più semplice degli attrezzi “la canna fissa”.
Semplicità d’uso non corrisponde a semplicità di pesca. I virtuosi della canna da riva utilizzano ancora questo attrezzo non potendo contare sull’aiuto che la frizione di un buon mulinello offre in caso di prede di peso.
Tralasciando le canne in bambù che certamente hanno accompagnato l’infanzia di molti pescatori ancora in piena attività, oggi la canna fissa è costruita in fenolico, per il segmento economico, ed in varie mescole di carbonio per il segmento di mercato che va dal pescatore della domenica fino al più evoluto degli agonisti.
La tecnica costruttiva in entrambi i casi prevede una serie di elementi tubolari dalla conicità più o meno accentuata, inseriti l’uno nell’altro(canna telescopica), con lunghezze che partono dai 3 metri fino ad arrivare e superare i 10 per telescopiche pure o per un ibrido tra la canna telescopica e quella ad innesti che è la ROUBASIENNE.
Se per lunghezze di 3 – 4 metri è ancora accettabile il peso della fibra di vetro, per lunghezze superiori il rapporto peso lunghezza è ad assoluto appannaggio delle canne in carbonio.
Una sette metri in fenolico si attesta infatti su pesi che possono arrivare al chilogrammo mentre una media mescola in carbonio, per una canna della stessa lunghezza si attesterà su di un peso intorno ai 3 etti. Ciò senza voler arrivare alle canne in altissimo modulo con pesi davvero risibili ma estremamente costose e da utilizzare con grande cautela per l’intrinseca fragilità agli urti dei materiali.
La canna fissa di misura contenuta tra i tre ed i quattro metri viene utilizzata per la pesca in buca o per la pesca in velocità di piccoli pesci come castagnole, latterini o altri pescetti e solo in questo caso è pensabile un uso non troppo affaticante di un attrezzo in fenolico.
Superata la misura dei quattro metri è consigliabile l’uso di una canna in carbonio che specie per le misure più corte, 5 e 6 metri, sono acquistabili a prezzi contenuti, anche in considerazione del fatto che per l’uso marino il carbonio “alta resistenza” meno pregiato dell’alto modulo, è più indicato sia per l’ ostilità dell’ambiente, spesso scogliere, che per la mole del pesce più ricercato con tale attrezzo, il cefalo o muggine, che può raggiunge taglie di assoluto rilievo e che unisce alla combattività sicuramente tra le più elevate riscontrabili in mare.
Le fisse più lunghe, tra i 7 e gli 8 metri sono ancora sufficientemente diffuse anche se, vista la misura che inizia
ad essere notevole, necessitano di una costruzione in materiali maggiormente pregiati per contenerne il peso. La 8 e la 9 metri sono utilizzate per la pesca dalle profonde banchine portuali o per la ricerca delle occhiate che non accostano troppo alla scogliera dove siamo appostati.
Le canne fisse di lunghezza superiore appartengono al mondo dell’agonismo e passiamo di preferenza alle roubasienne, canne di derivazione transalpina, molto utilizzate in acque dolci, che presentano la caratteristica di una cima di 5/6 metri telescopica, raccordata ad una serie di pezzi ad incastro che prevedono una tecnica tutto particolare, consentendo delle lenze anche di solo 5 metri montate su canne anche da 14. Durante il recupero della preda il pescatore provvederà a staccare man mano i pezzi posteriori che poggiano su appositi rulli fino a poter afferrare la preda.
LA BOLOGNESE
La necessità di poter meglio assecondare le fughe dei pesci, di poter disporre di una frizione per controllare le fughe ed evitare rotture delle lenze, spesso capillari, hanno portato
alla nascita della bolognese.
Questa canna consta di un fusto telescopico, molto simile se non proprio derivato da una canna fissa, su cui sono montati una serie di anelli. Il pezzo inferiore dell’attrezzo ospita un portamulinello che sarà montato orientativamente all’altezza del gomito del pescatore e sarà preferibilmente del tipo a baionetta. La disposizione degli anelli dovrà tentare di assecondare il più possibile la curvatura della canna sotto carico e più sarà parabolico l’ attrezzo di più anelli necessiterà. Per tale motivo sulle bolognesi di maggior pregio troveremo anelli intermedi montati su tubetto tra due sezioni della stessa canna e numerosi saranno gli anellini che correderanno la cima degli attrezzi.
Altra caratteristica sarà il tipo di anello montato che sarà a ponte singolo, ovvero ci sarà solo un gambo inferiore da legare alla canna, e diverse saranno le altezze dei “ponti”. Per evitare che l’umido possa far attaccare la lenza alla fibra della canna saranno da preferire canne montate con anelli a ponte medio o alto.
Bolognesi montate con anelli a ghiera ovvero non legati potranno solo appartenere alla fascia più economica del mercato e generalmente il materiale di costruzione sarà l’economico e pesante fenolico.
La pesca con canna bolognese avverrà quasi sempre abbinata ad una lenza sostenuta da un galleggiante.
Molto diffusa è la pesca con canna bolognese per la pesca della spigola in ambito portuale, di saraghi ed occhiate dalle scogliere naturali. Molto spesso e sempre più di frequente il classico galleggiante da bolognese viene sostituito da un “galleggiante all’inglese” che presenta qualche vantaggio specie con vento ma mare sostanzialmente calmo.
E siamo arrivati alle canne all’inglese; queste sono il corrispettivo anglosassone delle nostre bolognesi e nascono per la pesca in canale a lunga diul. Poi l’uso è stato allargato al mare e le misure canoniche attestate sui 3 metri e novanta sono cresciute fino ai 5 metri circa. L’inglese classica è una canna ad innesti in tre pezzi ed è connotata da numerosi anelli guidafilo (oltre i 10) generalmente di piccolo diametro.
Esigenze commerciali e di pesca in mare hanno immesso sul mercato attrezzi da 4,20/4,50 Mt. telescopici, con un numero di anelli che arriva a 15/16. La telescopicità degli attrezzi non consentirà una perfetta scalatura degli anelli, per cui saranno molto frequenti anelli intermedi tra due sezioni legati su tubetto.
La canna all’inglese, di base più potente della classica bolognese, consente una pesca a maggior diul dalla riva, e le più potenti, in grado di lanciare galleggianti in parte piombati di una portata fino a 30 grammi, consente di posizionare le nostre esche fino a 40/60 metri, al punto che il filo in bobina del 14 o del 16, dovrà essere corredato di un adeguato parastrappi dello 0.25, mutuato dalla pesca a fondo dalla spiaggia.
In Italia sono molte le aziende che producono canne da riva di ottima fattura da ricordare Maver, Triana, Tubertini, Trabucco, Milo. Tra le non italiana citiamo l’ottima produzione della Daiwa, la Mitchell, la Shimano. Di principio sappiate che canne troppo economiche, spesso non durano l’arco di una stagione e che spendere qualche soldo in più per un attrezzo di sicuro affidamento è spesso l’unico modo per risparmiare.
Capitolo 4- LE CANNE
LE CANNE DA SURF
Arriviamo ad una delle discipline di più recente diffusione e che forse solo da poco è entrata in una fase di maturazione. Da un surf casting elaborato per aspiranti Rambo, fatto di condizioni meteo durissime, di zavorre ben oltre i 150 grammi e di prede spesso solo agognate ma presenti in modo massiccio solo in alcune ben delimitate zone, si è passati ad una definizione del surf casting che abbraccia un po’ tutte le tecniche a fondo praticabili dalla spiaggia ed il concetto, a personale parere, è ancor più da estendere.
Quindi la produzione delle canne da surf casting varia da attrezzi in grado di lanciare poche decine di grammi, generalmente si parte dai 50 grammi, fino a canne in grado di scagliare a buone distanze piombature da oltre 2 etti. Sulla questione dei materiali poco cambia rispetto a quanto già detto per le canne dedicate alla pesca da riva. Carbonio e basta.
Il fenolico lasciamolo al pescatore non convinto, al ragazzino alle prime armi; non è solo una questione di peso dei materiali ma proprio di azione e nessuna canna in fenolico sarà in grado di eguagliare l’azione di una mediocre canna da surf in carbonio.
Resta qualche limitatissima nicchia di mercato del fenolico riservato probabilmente alle sole circostanze di pesca oceanica a grossi predatori ed in qualche centro di pesca Africano è ancora in voga forse una sola canna in fibra di vetro ovvero la Mariner Strong della Mitchell che ha fatto un po’ la storia della specialità.
Le canne da spiaggia, estremizzando un po’ il concetto, potrebbero essere considerate delle bolognesi molto potenti; la richiesta di mercato vede una produzione di canne nelle misure tra i 3 metri e sessanta ed i 5 metri. La gran parte della produzione, il segmento più consistente, vede commercializzate canne tra i 4 ed i 4,5 metri. Canne telescopiche in gran parte, in un numero vario di sezioni che parte dalle tre fino ad andare oltre le 5 sebbene il target più diffuso vede canne in 4 o 5 sezioni. Esiste poi una produzione di attrezzi in tre sezioni ad innesto da non confondere con le due pezzi, che pur essendo canne da spiaggia, applicano il concetto costruttivo di origine anglosassone della ripartizione di sezione che meglio vedremo tra poco.